LEGATO PIETRO - 1909*

              Pietro Legato è il  primo a sinistra.

Testimonianza della nipote Santina Mallamaci:

Era un turno come tanti altri quello della sera del 17 marzo 1957, al raddoppio della galleria ferroviaria di Santa Trada, quando mio nonno Pietro Legato indossati gli abiti laceri e impolverati, messo l'elmetto in testa e accesa la lampada a caburro, si inoltra lentamente verso il buio ventre della Terra. Sarebbero trascorse tante ore di snervante e tenace lavoro, scavando e rompendo roccia per creare il cunicolo che lentamente avrebbe creato la volta della galleria. Ma a notte fonda succede l'irreparabile, quello che i minatori più temono; il suo sguardo si volge verso l'alto e vede mattoni cadere, sente le urla dei suoi compagni e in un attimo il buio diviene più nero l'aria divenne irrespirabile, avverte il suo corpo bloccato dai detriti, quindi cosciente di sentirsi intrappolato ... ma vivo! Inizia a passare il tempo molto lentamente, sentiva il cuore battere forte di speranza, speranza che qualcuno ascoltasse il rumore della piccola pietra battuta incessantemente contro la roccia dall'unica mano libera, la speranza di poter rivedere la luce, di aver salva la vita, speranza di rivedere i quattro figli e la loro madre, sua moglie, la donna dalle mani laboriose e dal grande cuore che l'attendeva a casa come sempre al suo ritorno.

Sono tante le ore trascorse, ormai di comune convinzione che dal cumulo di fango e rocce solo un corpo esanime doveva essere recuperato. I compagni di lavoro però non demordono, non si danno per vinti e continuano a scavare cercando di percepire nel silenzio assordante qualche piccolo rumore, e sono settantotto ore a passare quando il suo amico Nicola Diano inizia a sentire qualcosa e comincia incredulo a chiamare il suo nome ... "E' vivo!!! " grida, esulta e inizia a scavare sempre più forte per altre tre interminabili ore .Mio nonno appare ai suoi occhi inginocchiato sulla nuda terra ,le gambe trafitte dalle rocce e il viso rigato dalle lacrime e dal sangue. E' vivo ed è vivo per miracolo, è sopravvissuto per ottanta ore, sepolto da cinquecento metri cubi di terra, sabbia e rocce, giaceva nella posizione come quando si viene al mondo e rinasce alla vita per la seconda volta.

Dalla galleria accanto i treni scorrevano lentamente sulle rotaie per evitare crolli ulteriori, ogni spostamento d'aria permetteva all'ossigeno di filtrare fra gli anfratti delle rocce e nutrire d'aria i suoi polmoni. Delicatamente fu estratto da quelle mani eroiche e consegnato ai tanti dottori che si sono susseguiti negli anni, per ricomporre quel corpo martoriato e cercare di ridare la salute perduta.

Tre erano i giorni passati quando tutto si pensava ormai perduto e pronto ad accogliere solo il corpo per dare una degna sepoltura, tre giorni segnati dal suono delle campane a morte, telegrammi di cordoglio, il nero degli abiti e il cuore spezzato, tre giorni conclusivi con la notizia in cui la mia famiglia si strappa di dosso il dolore per riabbracciare la gioia vera del ritorno alla vita.

Le campane suonarono a festa a Motta San Giovanni, tutti i compaesani gioirono. La guarigione fu lenta e il martirio subito lasciò i segni sul suo corpo e nella sua anima.

La storia della sua tragica avventura varcò i confini della regione, della sua storia se ne parlò in tutta la nazione, tanto da venire scelto e premiato da una giuria di giornalisti come "L'uomo più fortunato d'Italia".

Mio nonno Pietro Legato rinasce ancora una volta a quarantotto anni, tanti sono ancora gli anni di vita che potrà vivere ancora.

Se si è stati minatori o figli di minatori si sa che questa professione non si toglie mai di dosso, è come la polvere sottile carica di silice che respirata si aggrappa ai polmoni e si porta con sé per tutta la vita, è traccia indelebile per chi la conosce e soprattutto per chi l'ha vissuta.

Santina Mallamaci

(Prot. nr.81 del 18-10-2019- Foto e documento inserito dalla nipote Santina Mallamaci)

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